Atlantic Crossing: 16_Un viaggio in barca a vela

Atlantic Crossing: Gran Canaria – Martinique

15 Dicembre
Dopo un mese e mezzo di duro cantiere siamo pronti all’atlantic crossing.
Tangos ha un nuovo, bianchissimo, piano cottura in cucina, nuovi e splendenti specchi nei bagni, nuove luci in pozzetto, murate lucide a specchio, gruette per il tender, materassini e comenti rinnovati in pozzetto, un bel tangone per issare il nostro spinnaker e tangonare il nostro fiocco in traversata.



Tutto è pronto; abbiamo finito tutto poche ore prima della partenza ma ci siamo riusciti.
Oltre a Eva ed io, a farci compagnia ci sono Roberto che ci ha aiutati anche durante i lavori in cantiere, Chiara ed Ottavio che sono arrivati da San Diego e Genova. La crew è al completo.
Siamo 2 architetti, una biologa, un poliziotto della scientifica una psicologa, ed un prosciutto pata negra intero, anche detto “il violino”, regalatoci dal mitico Sergi, il nostro amico catalano/espalmadoreño.


Atlantic Crossing: partiti
Il 15 alle 09.00 del mattino molliamo gli ormeggi, non avremo vento per 12 ore, già lo sappiamo.
Dopo 10 minuti di navigazione un numeroso gruppo di delfini vengono a darci l’addio o meglio il benvenuto in alto mare. Ci staremo probabilmente intorno ai 20 giorni prima di intravedere nuovamente terra.
Smotoriamo fino all’ora di cena ma consumiamo il nostro ultimo pasto della prima giornata di bolina, ad un buon passo.

Il giorno successivo il vento da ovest girerà piano piano verso nord-est come di consueto in questa stagione.
Navigheremo per qualche giorno con prua verso Capo Verde per agganciare gli alisei. La nostra meta è nelle vicinanze del punto 20°00′ Nord 30°00′ Ovest, indicato da Jimmy Cornel come il punto da cui sicuramente i venti soffiano sicuramente ed in modo costante. Di qui è passato anche Cristoforo Colombo e le cose apparentemente dall’epoca non sono cambiate molto.

Navighiamo divinamente, 165 , 180 ed infine 195 miglia in 24 ore. Di meglio non ci si aspettava.
Vento in poppa, randa terzarolata con ritenuta e fiocco tangonato. Qualcosina si logora e di giorno in giorno apportiamo piccole modifiche all’armo perché tutto funzioni a dovere senza sfregamenti. Aggiungiamo dei bozzelli alle mani di terzaroli, qualche rinvio e via veloci, macinando miglia.
Atlantic Crossing: natale in alto mare


Tra il 22 e il 23 dicembre però, proprio quando superiamo il punto dove tutto dovrebbe diventare più facile e costante, il vento inizia a calare. Per 48h i cambi di vele saranno frequenti, cerchiamo di fare il possibile per far camminare la nostra barca, ci spingiamo in un bordo di 24 ore verso sud dove la meteo ci promette un po’ d’aria in più.


Navigando in poppa piena con poco vento e l’onda atlantica ancora formata le vele risentono di qualche frustata. Quindi per evitare rotture ci portiamo al traverso, dopo una giornata e una notte con prua a 220° ritroviamo un vento più sostenuto, è Natale e riceviamo il nostro regalo.
Due giorni in rotta su Martinica con medie accettabili e il vento cala nuovamente. Natale è passato.
Nuovamente costretti ad allontanare la prua dalla nostra meta per trovare un vento apparente più favorevole. Miglia percorse in 24 ore 106: la più bassa della traversata.

Atlantic Crossing: una giornata senza pretese
Le giornate trascorrono comunque veloci, si cucina, si mangia si avvistano uccelli. Ogni giorno vengono a farci visita dei Red Billed TropicBird, uccelli dalla lunghissima coda e dal becco rossastro. Oltre a loro esemplari di Sterne, Storm Petrel e Sule.
Pesci volanti a non finire: di giorno li vediamo volare a pelo onda in fuga dalla barca che scambiano per un grosso predatore. Di notte si schiantano contro le murate come dei colpi di tamburo oppure finiscono in coperta finendo la loro esistenza in falchetta, nel peggiore dei casi schiaffeggiando chi di noi è di turno in pozzetto. Al mattino squame ovunque e cadaveri di ogni dimensione qui è la sparsi in coperta.
Oltre a un gran bel tonno pescato il secondo giorno, non pescheremo null’altro. I sargassi, molto presenti ci impediscono di trainare in santa pace la nostra esca autoprodotta.
Solo due enormi lampughe abboccheranno ai nostri ami ma si porteranno via le nostre care montature lasciandoci l’amaro in bocca.





Atlantic Crossing: capodanno in alto mare
Dovremo aspettare il 28 mattina per ritornare a navigare come più ci piace, in rotta verso la nostra meta sotto spinnaker. Maciniamo nuovamente miglia.
A Capodanno vediamo molto distanti all’orizzonte due barche a vela che avevamo intravisto anche a Natale. Sembra fatto apposta ma pare che non dobbiamo rimanere soli sotto le feste.
Il 1° gennaio festaggiamo il compleanno di Ottavio, Chiara è riuscita a tenere del mascarpone ben nascosto in frigo e ci propone un ottimo Tiramisù, gran bel regalo per Ottavio ma anche per noi.

La traversata procede tranquilla e gli uomini a bordo si sfidano in tornei di risiko e backgammon mentre le donne si impegnano a produrre ponchos fatti a maglia e cestini all’uncinetto.
Avvisteremo la Martinica il 3 gennaio, scortati da un’infinità di sule che sfruttando la nostra barca, catturano al volo i pesci volanti che da noi scappano. Strana ironia: scappano da un pericolo inesistente per finire in bocca ai loro reali predatori.

Stanchi, con qualche acciacco ma estremamente felici entro il tramonto, ancoriamo in rada nella baia di Sant’Anne.


Atlantic Crossing: Martinique – Panamà
Dopo una settimana passata a far cambusa e rimettere a punto la barca, ci prepariamo a ripartire per il secondo tratto del nostro lungo trasferimento.
2.900 miglia ci separano oramai dalle Canarie ma ancora 1.200 ci mancano per arrivare a San Blas. Non sono poche è già sappiamo che saranno più impegnative.

Un forte vento soffia da qualche giorni e siamo in attesa di una attenuazione per lanciarci nuovamente in alto mare.
Questa ultima tappa la faremo in tre. Ottavio deve tornare in Italia per partecipare a un concorso e Chiara deve ritornare al suo laboratorio a San Diego.
Il 12 gennaio leviamo l’ancora e issiamo le vele.
Il vento è calato ma si attesta ancora sui 30 nodi. La meteo prevede un calo ulteriore nei prossimi giorni ed il timore che si affievolisca eccessivamente come durante la traversata atlantica ci spinge a lanciarci subito dietro la perturbazione appena passata.
La barca è veloce, troppo veloce. Non scendiamo mai sotto le 185 miglia ogni 24 ore, 190, 195 arriviamo a percorrerne 205 in una sola giornata, 8.5 nodi di media.
Atlantic Crossing: cabo de la vela
Invece di arrivare come previsto con il vento in calo, anticipando, ci ritroviamo 90 miglia a largo di Barranquilla con venti intorno ai 40 nodi e onde tra i 5 e gli 8 metri che paiono colline. La barca prende l’onda in poppa piena, veleggiamo solo con mezzo fiocco tangonato, randa chiusa nell’ easy-bag. Tutto bene finché sulla cresta di un’onda non appare una frangente al traverso. Ci investe al giardinetto sdraiandoci, l’albero quasi tocca l’acqua, l’onda passa sopra il bimini e riempe il pozzetto che in quel momento è inclinato come una parete.

Vedo scomparire Eva sott’acqua, infilo una mano a caso e la prendo da una caviglia, lei si è già afferrata alla scotta randa. Il tutto dura 3 secondi netti ma eterni. La barca si riporta in assetto come se nulla fosse successo, ma sottocoperta è un disastro, tutto a cambiato di posto e nulla è in ordine.

Lavoreremo per 3 ore per riordinare e pulire tutto.
Proprio nel momento in cui tutto sembra apposto, iniziamo a pensare all’ormai prossimo atterraggio panamense. Sappiamo che avvicinandoci a costa l’onda calerà ma a vedere il moto ondoso si stenta a crederlo. Siamo in dubbio se dirigerci direttamente a San Blas che conosco perfettamente oppure dirigerci a Linton Bay marina dove possiamo fare dogana e permesso di navigazione per Tangos. Proviamo ad accendere il motore e qui ci arriva la pessima novità: è inchiodato.
Atlantic Crossing: atterraggio
Riduciamo ulteriormente fiocco per rallentare e non arrivare prima dell’alba. Entreremo dietro al reef di Holandeses alle 10.00 del mattino del 18 gennaio per ancorarci a vela a Banedup. Qui grazie agli amici italiani più esperti capiamo che la situazione motore non è facilmente risolvibile con i mezzi che abbiamo. Il giorno successivo sempre di sola vela ci dirigeremo a Linton dove il buon Jorge, uno skipper/meccanico che per me diventerà a tutti gli effetti un santo.
Smonterà completamente tutto il motore in 7 ore nette. Ci ritroviamo con la dinette che pare un’officina meccanica e il motore sbarcato proprio in mezzo. La diagnosi è piuttosto pesante, i cilindri sono pieni d’acqua salata. E’ entrata dallo scarico forzando il sifon-breaker, 3 bielle sono piegate e un pistone incrinato. Ci metteremo un grande impegno e faccia tosta per trovare in meno di 3 giorni tutti i pezzi necessari a riassemblarlo a dovere.

Il nostro arrivo a San Blas poteva essere migliore ma nonostante tutto ci consideriamo più che fortunati. Ora tutto funziona e siamo pronti e carichi per iniziare la stagione.